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Chants of Sennaar - La Recensione (PC)

Chants of Sennaar - La Recensione (PC)

 

«Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.»

Questo è il passo del libro della Genesi che va a costituire le fondamenta di Chants of Sennaar, puzzle game di Rundisc pubblicato da Focus Entertainment. È facile intuire, vista l'ispirazione, che il gioco basi la sua componente ludica sull'interpretazione e la traduzione delle lingue parlate dai cinque misteriosi popoli che abitano i vari piani della altrettanto enigmatica torre. Nelle dieci ore circa che sono state necessarie per completarlo, Chants of Sennaar ci accompagna in maniera assolutamente naturale in un viaggio onirico, tra colori lucenti e architetture maestose, seguendo come unico filo conduttore quello della lingua, della grammatica, della sintassi. Non ci sono narratori, non ci sono copioni (tranne in un caso ben specifico), solamente parole e immagini, significato e significante, a mettere alla prova le nostre capacità deduttive e interpretative.

 

 

A lone traveler

 

La leggenda narra che un giorno, un viaggiatore solitario riunirà i Popoli della Torre, che non sono più in grado di comprendersi a vicenda. Noi siamo quel viaggiatore. Il perchè intraprendiamo questo viaggio non sarà fin da subito chiaro, ma non è importante. Il richiamo all'esplorazione è troppo forte e le coloratissime architetture ricche di contrasti, tratteggiate secondo lo stile peculiare e tipico di artisti come Moebius, Philippe Druillet e François Schuiten non fanno altro che rendere irresistibile l'inoltrarci nel dedalo di scalinate e vicoli che è ciascun piano della torre. 

 

 

Ben presto entreremo in contatto con il primo popolo e la sua lingua, composta da glifi semplici e morbidi, che seguono regole sintattiche abbastanza lineari, l'ideale per introdurci alle meccaniche del gioco. Ma parlare con i locali non può sicuramente bastare, si può dedurre il significato di ciascun glifo fino a un certo punto. Diventa perciò necessario esplorare e scoprire l'iconografia e le credenze di questa popolazione, apparentemente molto devota. Ogni elemento può arricchire la nostra conoscenza, prontamente riportata sul fedele taccuino che il nostro viandante senza volto porta sempre con sè: dai cartelli con le indicazioni alle intestazioni dei negozi, fino ad arrivare a interi murales che narrano miti e leggende senza epoca. L'associazione tra figure e parole rende il tutto più semplice ma, qualora non si abbia la certezza di quello che si è dedotto, si può tranquillamente fare un'annotazione temporanea per poi confermarla o rivederla in seguito.

 

 

Ogni glifo scoperto viene segnato sul taccuino ma solo in alcuni precisi momenti saremo chiamati a fare un "check" della veridicità di ciò che abbiamo ipotizzato, quando il viandante disegnerà degli schizzi raffiguranti azioni o oggetti sul proprio quaderno e starà a noi associare al disegno il giusto simbolo. Assegnando a ogni schizzo il giusto glifo, la traduzione di quel grafema verrà definitivamente confermata e tutte le precedenti conversazioni o scritte incontrate verranno "aggiustate" con la traduzione corretta.

 

United we stand, divided we fall

 

Tematica estremamente attuale e quanto mai controversa, la xenofobia ha rappresentato, nel passato, una vera e propria consuetudine. Nella torre "costruita" da Rundisc i cinque popoli, non comprendendosi, vivono isolati, costruendo dubbi, paure e supposizioni riguardanti le altre etnie. La barriera linguistica non fa altro che alimentare incomprensioni, timori, fino all'odio vero e proprio. Ma navigando in questo mare discorde, balzerà presto ai nostri occhi come gran parte delle congetture e dei dogmi insiti in ciascuna popolazione crollerebbero molto facilmente qualora fosse possibile, per i membri di ciascun popolo, comunicare gli uni con gli altri. E anche in questo ci potremo rendere utili, grazie a dei particolari marchingegni che, oltre a fungere da portali di teletrasporto tra i vari piani della torre, ci permetteranno anche di fare da interpreti, da traduttori, al servizio di membri dei vari popoli, così da permettere la comunicazione e la costruzione di nuovi rapporti, squarciando il velo della diffidenza e stendendo quello della fratellanza. Un messaggio fortissimo che Rundisc propone quasi in sordina, visto che questi passaggi non sono fondamentali per completare il gioco.

 

 

Talvolta, oltre che linguisti, ci dovremo improvvisare anche archeologi, andando a ricomporre o estrapolare frasi da bassorilievi in rovina o mosaici parzialmente perduti, così come ci ritroveremo ad essere archeologi digitali giocando una peculiare versione dell'ormai dimenticato Flappy Birds in un easter-egg davvero geniale pensato dagli sviluppatori. Altre volte ancora ci dovremo, nostro malgrado, improvvisare Sam Fisher, direttamente da Splinter Cell, affrontando sezioni stealth non particolarmente complesse ma frustranti poichè abbastanza superficiali e non propriamente in linea con il genere primario del gioco. Sezioni stealth e altre inaspettatamente più concitate servono a dare una sterzata al ritmo di gioco che, per la maggior parte del tempo, è abbastanza compassato, o comunque interamente gestito dal giocatore e dalla sua rapidità nella risoluzione di enigmi letterari o ambientali, l'altra componente puzzle predominante che si ritrova in Chants of Sennaar.

 

 

Man mano che ci si avvicina al finale i linguaggi si fanno sempre più complessi e i puzzle intricati, raggiungendo un picco intorno ai 3/4 del gioco quando, dobbiamo ammettere la nostra ignoranza, siamo stati bloccati parecchio da un enigma che richiedeva conoscenze matematiche che non possedevamo. Nel complesso, però, i ragazzi di Rundisc sono riusciti ad intessere un gioco accessibile a tutti, ma non per questo scontato o non soddisfacente, tutt'altro. Non vengono raggiunti i livelli di profondità e libertà di Heaven's Vault, ma la scelta è volontaria, per rendere il gioco accessibile e godibile non solo dagli appassionati, ma anche dal giocatore inesperto intrigato dalle tematiche, dallo stile o semplicemente dai raggianti colori del gioco.

Peccato, infine, per il backtracking un po' troppo ridondante nel finale: sebbene la meccanica sia intrinsecamente funzionale a far notare al giocatore cosa è cambiato nella torre grazie al suo passaggio, si finisce forse per insistere un po' troppo sul rivisitare luoghi già visti, ma niente di insopportabile.

 

Tecnicamente parlando

 

Abbiamo giocato Chants of Sennaar sulla seguente configurazione:

 

AMD Ryzen 7 3700x @ 3.60 GHz

Gigabyte RTX AORUS Master 3080 Ti 12Gb

Corsair Vengeance RGB RT 32GB DDR4 3600MHz

Monitor LG 34GN850 a risoluzione 3440x1440 (21:9)

 

Complice lo stile artistico semplice ma di grande impatto, il titolo gode di una fluidità assoluta senza impegnare assolutamente l'hardware. L'ispirazione a titoli come Sable o Monument Valley è palese ma gli sviluppatori sono riusciti a garantire carattere al loro titolo, prescindendo dalla direzione artistica presa, che è comunque totalmente funzionale al contesto e al genere di appartenenza. Il team è riuscito, con pochi tratti, a caratterizzare cinque popoli in maniera sopraffina, dal loro stile architettonico a quello artistico, passando per la moda nel vestiario o nelle abitudini di vita. Il tutto accompagnato dal delizioso accompagnamento musicale di Thomas Brunet, che si adegua ed esalta i cambi di scenario durante la nostra ascesa verso la vetta della Torre.

 

 

Complimenti anche per la traduzione italiana, che si adegua perfettamente alle necessità del gioco e mostra anche una certa elasticità per quanto riguarda l'interpretazione dei vocaboli e la loro assegnazione ai vari glifi.

 

In conclusione

 

Con enigmi diabolici che hanno come tema l'apprendimento della lingua e l'essere un viandante costantemente fuori luogo, Chants of Sennaar centra in pieno il suo obiettivo. Ricostruire i vari linguaggi utilizzando spunti visivi crea un mistero avvincente da risolvere, mentre si cerca di ricollegare le diverse comunità semplicemente permettendo loro di comprendersi a vicenda. Tuttavia, il gioco inciampa un po' con sezioni stealth che sembrano fuori luogo tanto quanto il viandante e un po' di backtracking eccessivo che potrebbe lasciarvi perplessi. Ma con la sua grafica splendida e ricca di contrasti, Chants of Sennaar non è solo uno dei giochi più belli che abbiamo visto quest'anno, ma anche uno dei più intelligenti, indipendentemente dalla lingua parlata.

 

8.7Voto KotaWorld.it8Grafica8.5Gameplay9.5Ottimizzazione

 

 

 

 

 

 

 

 

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