Nelle ultime settimane diversi eventi hanno suscitato polemiche sostanziali: la questione #hottub con la streamer Amouranth a farne da stendardo, Fedez e la censura Rai in proposito del discorso del primo Maggio su #ddlzan e dunque Noldor non vuole esser da meno: ecco a voi la recensione di un film con scene di sesso esplicito.
Ho avuto il piacere di vedere la pellicola vincitrice dell’orso d’oro del festival di Berlino 2021 e devo dire che sono stati i 106 minuti più originali che io abbia visto da tanto tempo a questa parte. Disclaimer: questo sarà un articolo semi-serio.
Nonostante la premessa, il titolo “Bad luck banging or loony porn” (tradotto in italiano “sesso sfortunato o follie porno”… anche se letteralmente sarebbe traducibile in “sfortuna mentre si scopa o un porno strambo”) ed i primi 5 minuti di film che a dire la verità non farei esattamente vedere ai miei genitori, non posso classificare il film come porno.
Di cosa si tratta, dunque? La risposta non è ovvia: l’inizio del film è il preambolo ad una storia di una professoressa estremamente colta, il cui video di follie erotiche con il marito viene condiviso – non è chiaro esattamente come – su internet, per poi finire nelle mani dei suoi studenti. Immaginate per un secondo la conseguenza? Ovvio, come già avete immaginato la professoressa viene convocata d’urgenza dalla preside della scuola per un colloquio con i genitori dei ragazzi.
La storia di una persona, nonostante la sua attualità e l’intelligenza con la quale viene rappresentata, rappresenta tuttavia solo un pretesto per il regista per raccontare anche di una collettività. I piani sequenza nella prima frazione di film terminano sempre su dettagli che all’inizio lasciano un po’ perplesso lo spettatore, poi man mano che la storia prosegue, anch’essi raccontano qualcosa: da un lato la bellezza, dall’altro la decadenza.
Finora ho volutamente omesso il nome del film in lingua originale, ovvero “Babardeală cu bucluc sau porno balamuc” perché se è vero che la regia sia made in Romania (Radu Jude docet) ed i fatti stessi della storia accadano a Bucarest, non è altresì falso che quanto raccontato non sia applicabile all’Italia. Certo è che a Bucarest la situazione sia più esasperata (nel film viene inquadrata una scena in cui un automobilista non si ferma alle strisce pedonali, colpendo un passante, il quale si arrabbia e viene “ovviamente” investito una seconda volta. Altre scene riprendono dei “furbi” che parcheggiano sul marciapiede e/o sulle strisce pedonali il proprio SUV), ma le riprese sono fedeli alla realtà. Potete fidarvi di uno che a Bucarest ed in generale in Romania c’è stato più di una volta… E nonostante questo vi assicuro che scene simili le abbia vissute io in prima persona anche in alcune città italiane.
Con il secondo atto la storia della professoressa Emi si interrompe e viene presentata una carrellata di immagini o frammenti di video con un titolo ed una spiegazione scritta. Suoni a parte, non ci saranno dialoghi in questa sezione del film. La seconda parte arriva allo spettatore come un pugno allo stomaco, presentandoci una sorta di “museo della Romania” in cui la denuncia sociale è accostata ad esempi di cultura rumena, dandoci la stessa impressione che si ha quando si guardano i film sull’ascesa del nazismo. La domanda che ci si pone è “com’è possibile?”.
C’è una frase che viene proposta dal regista di cui non ricordo le parole precise, ma che suona come: “L’essere umano non riesce a vedere l’orrore se ci vive dentro, ma guardandolo da fuori (ndr: da una telecamera) riesce a comprenderlo”. Il film vuole essere un manifesto dunque per la Romania a ritrovare la propria umanità. Umanità che in passato ha generato figure come Eminescu.
Sandru Ciorba, notissimo cantante di musica popolare, è talmente tanto conosciuto che figura un numero indicibile di volte anche in noti gruppi su Facebook a proposito di musica... Guardatevi il testo e capirete il motivo per cui il regista ha deciso di include un frammento di questo video musicale nel suo film
…E proprio la figura di questo illustre personaggio ritorna nel terzo ed ultimo atto del film, quando la professoressa mette a tacere uno dei genitori all’assemblea, dovendo recitare a memoria una delle sue poesie “esplicite”, per potersi difendere dalle accuse non troppo velate di essere una poco di buono. Dunque torna il tema del sesso e se fino a questo punto la denuncia sociale è stata limitata alla Romania, mi sento di affermare che in questa parte si voglia bacchettare il mondo intero.
Se da una parte viene rappresentato il lume della ragione ad affermare che “quello che faccio nella mia vita privata appartiene a me soltanto e non dovrebbe influenzare il giudizio che avete di me come docente” e “il porno è vietato ai minori e siete stati voi a mettergli in mano gli smartphone e a non controllarli”, dall’altra c’è il qualunquismo dei più che additano la professoressa come se sia un abominio (anche se posti di fronte all’ovvietà che il sesso lo si faccia tutti – e che “se è fatto due o più persone che siano consenzienti, non c’è nulla di sporco”) ripetendo a più riprese frasi che assomigliano a “i bambini, qualcuno pensi ai bambini”.
Da questa spinosa situazione se ne esce con una votazione dei genitori, i cui risultati vengono dati in tre finali alternativi. In un finale vince la ragione ed il sesso trova un posto di normalità, in un finale vince l’ipocrisia e lo status quo della società odierna… Nel terzo finale, il regista decide di avere il colpo di genio e rappresenta una scena che non risolve nulla ma che abbraccia il pubblico con la “locura” di ferrettiana memoria, perché anche lui ha bisogno dell’assoluzione di Platinette.
Chapeau.